La Valle di ArgentaANNA E MARCO



“Anna avrebbe voluto morire, Marco voleva lontano, qualcuno li ha visti tornare tenendosi per mano”. E Anna e Marco sono tornati davvero. Ma non sono i protagonisti della canzone di Lucio Dalla, sono due lupi, forse antichi discendenti di quegli stessi lupi che popolavano la zona prima delle bonifiche e delle guerre. Due lupi che durante la momentanea assenza degli esseri umani, sono tornati a vivere nel loro habitat naturale, nella loro nuova vecchia casa in mezzo alle Valli di Campotto, nel Parco Regionale del Delta.


“Anna avrebbe voluto morire, Marco voleva andarsene lontano, qualcuno li ha visti tornare tenendosi per mano”.

Anna e Marco, così sono stati chiamati, in onore della celebre canzone di Lucio Dalla, i due lupi che nel 2020 sono comparsi nelle valli di Campotto, dove i lupi erano spariti da tanto tempo.
Era dall'Ottocento che nessun branco si stabiliva qui, nella bassa tra Ferrara e Ravenna. Ma Anna e Marco, mentre tutto il nostro mondo era fermo, sono tornati ad aggirarsi tra i fiumi e le macchie boscose, dove i loro antenati andavano a caccia. E ora insieme a loro ci sono anche cinque lupacchiotti, che chiamano casa le pianure e le valli a sud di Argenta, tra il Reno, l'Idice e il Sillaro.
Eppure, quanto è diversa questa terra rispetto a quella che hanno conosciuto i lupi che li hanno preceduti nei secoli passati.
L'Oasi delle valli di Campotto si stende a sud del fiume Reno e fa parte del Parco regionale del Delta del Po. Qui, tra acque, canneti, prati e macchie boscose, si snoda un ecosistema unico, sia per la flora che per la fauna. Non per nulla nel 2015 quest'oasi ha ricevuto, insieme a tutto il Parco del Delta, il riconoscimento di Riserva di Biosfera dell'UNESCO.
La compresenza di acque stagnanti, fiumi, aree boschive e terre emerse, consente un intrecciarsi di habitat molto differenti tra loro che rappresentano uno degli ultimi complessi superstiti delle aree umide europee. Insomma, un vero e proprio tempio della biodiversità, che ospita animali e piante di ogni genere.
Solo tra gli uccelli possiamo contare più di quattrocento specie diverse. Alcuni di essi rimangono qui durante tutto l'anno, altri migrano e si ritrovano in quest'oasi per nidificare o per svernare. Anatre, germani reali, aironi, folaghe, sterne, cavalieri d'Italia, passeri di ogni tipo, ma anche rapaci come falchi, allocchi e assioli. Una ricchezza unica in Italia.
Sicuramente, gli abitanti più esotici e affascinanti di queste terre sono i fenicotteri rosa, che nel Delta hanno una delle poche colonie europee. Se ne possono avvistare a migliaia, appollaiati su una gamba nella loro tipica posa, specchiati nelle placide acque delle valli, oppure intenti a scandagliare il fondo fangoso in cerca di crostacei e larve.
Ma come forse potrete immaginare, il fenicottero non è una specie autoctona di questo territorio. Gli eleganti trampolieri rosa hanno fatto la loro comparsa qui alla fine degli anni '90, e da allora sono diventati una presenza fissa. Nel Delta del Po hanno trovato il loro habitat ideale, quell'habitat che a causa del cambiamento climatico è scomparso dalle zone del basso Mediterraneo dove fino a pochi decenni fa i fenicotteri vivevano e nidificavano.
E i fenicotteri sono solo un esempio, forse il più appariscente, dei molti mutamenti che l'intervento dell'uomo, diretto o meno, ha portato a questo ambiente. Da una parte i cambiamenti climatici hanno spinto molte specie e modificare le proprie abitudini migratorie e a stabilirsi in zone dove non si erano mai viste. Dall'altra la forte antropizzazione che queste terre hanno vissuto soprattutto nell'ultimo secolo con la grande bonifica, ha portato l'habitat naturale di molte specie autoctone a ridursi a poche oasi, come questa.
Inoltre, la presenza di alcune specie alloctone, è dovuta direttamente all'azione dell'uomo. Prendete la nutria, per esempio. Un animale così comune qui che potrebbe quasi essere un simbolo di questo territorio. Ecco, la nutria è originaria del Sudamerica, e non ha certo attraversato da sola l'Oceano Atlantico per arrivare a dominare il Delta del Po. Il grosso roditore acquatico fu importato in Italia per scopi commerciali, infatti la sua pelliccia, detta di “castorino”, è stata molto richiesta fin dall'Ottocento e poi per tutto il secolo scorso. Per questo furono aperti grandi allevamenti intensivi che, quando l'industria della moda ha rinnegato le pellicce, hanno perso il loro scopo. Gli allevamenti sono stati chiusi e gli animali liberati. Piccolo problema: la nutria è un mammifero in un certo senso… infestate. Cioè si riproduce molto facilmente e molto velocemente. E tra l'altro ha anche una bella pellaccia, quindi non è così semplice liberarsene. E così, ora la nutria è una delle componenti più importanti - e ingombranti - del nuovo ecosistema della Pianura Padana.
Un altro esempio è il pesce siluro, un vero e proprio gigante di fiume. Originario dell'Europa dell'est, in particolare del Danubio, il siluro è stato introdotto nei fiumi italiani poco più di mezzo secolo fa per favorire la pesca sportiva. Beh, se amate pescare, potrete capire che è senza dubbio più soddisfacente scattarsi una foto con un siluro lungo tre metri che una carpa da cinquanta centimetri. Il problema è che il siluro è a sua volta un “pescatore” formidabile, e le sue abitudini alimentari hanno portato alla riduzione drastica di molte altre specie autoctone del Po. Aggiungiamo il fatto che le bonifiche hanno eliminato la gran parte dei canneti e delle zone di acqua bassa, dove si riproducono pesci come il luccio e la tinca: il risultato è che oggi il siluro rappresenta il 27% della biomassa del bacino del Po, e che altre specie, come appunto il luccio, sono ormai molto rare. Altre ancora, come lo storione, sono definitivamente scomparse dalle nostre acque.
Non per niente da qualche anno una legge obbliga il pescatore che si trovasse a catturare un siluro a non liberarlo nuovamente nei fiumi o nelle valli.
Ecco, nulla di personale contro le nutrie e i siluri, sia chiaro. Né tantomeno contro i fenicotteri o contro le tante specie alloctone che si trovano in questo ambiente così ricco e vario. Però forse, l'occasione unica di ammirare paesaggi come questo dell'oasi di Campotto, con il suo prezioso ecosistema, dovrebbe aiutarci anche a pensare. Pensare a quanto è forte e talvolta irreversibile il nostro impatto sull'ambiente. E a come la natura sia retta da equilibri fragili e mutevoli di cui dobbiamo accettare di fare parte.
Sicuramente è per causa nostra che il mondo che Anna e Marco hanno incontrato, tornando ad abitare nelle valli, è così diverso da quello che solo duecento anni fa i loro antenati conoscevano e hanno conosciuto per millenni. Ora i lupi sono tornati, e se tutto va bene riusciranno a ritrovare il loro posto qui, magari chissà, diventando formidabili predatori di nutrie. Però ecco, davanti a questa bellezza così complessa, forse anche noi dovremmo imparare a capire qual è il nostro posto, magari non a spese di tutti gli altri.
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Pubblicato nel marzo del 2015
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