Anita - Sant AlbertoLa donna dei due mondi



Si sa dove si nasce, non dove si muore, e se nasci a Morriños, in Brasile, non ti aspetti di morire tra le paludi di Mandriole e Sant'Alberto. La storia di Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva è finita qui, alla fine di quello che una volta era il Po di Primaro. La sua morte, con tutti i suoi misteri, è ancora avvolta nelle nebbie che ce l'hanno consegnata. In questo racconto ascolteremo la tragica storia della donna dei due mondi, Anita Garibaldi.


“Venerdì scorso da alcuni ragazzetti in certe lande di proprietà Guiccioli alle Mandriole in distanza di circa un miglio dal Porto di Primaro, e di circa 11 miglia da Comacchio, fu trovato sporgere da una motta di sabbia una mano umana”.
È il 10 agosto 1849. L'Italia è in subbuglio: la Repubblica Romana è fallita e Garibaldi è fuggito verso Venezia in cerca di aiuto. Sulle sue tracce ci sono gli eserciti di quattro nazioni e tutte le ricerche sembrano convergere in una zona dimenticata a nord di Ravenna. Garibaldi deve essersi nascosto lì, da qualche parte in mezzo alle paludi di Magna Vacca.
I Gendarmi arrivano a Mandriole, ma del Generale non c'è traccia. C'è qualcosa però che sbuca dalla sabbia. Sono stati i ragazzini a trovarlo. Una mano. Sul braccio ci sono segni di morsi e di artigli. Qualche cane randagio deve essere giunto prima di loro. Il cadavere appartiene ad una donna. Lunghi capelli neri, tenuti alla puritana. È vestita di bianco. Niente scarpe. Niente orecchini. Niente gioielli. La carnagione olivastra fa pensare ad una straniera. La donna era incinta, di sei mesi, al momento della morte. Tutti gli indizi portano ad una persona: Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva, meglio nota come Anita Garibaldi.
Se Garibaldi era un mito, Anita era una leggenda. Nata a Morrinhos nel 1821, in Brasile, Anita era rimasta orfana di padre a soli tredici anni, per poi essere data in sposa a quattordici ad un calzolaio di Lagunas. Ma quella vita non faceva per lei. Esperta cavallerizza, combattente nata, idealista fin dalla nascita e ribelle per indole, Anita, ancora ragazzina, aveva spalleggiato i ribelli che nel 1835 diedero il via alla rivolta degli straccioni contro l'Impero Portoghese. Fu quando i ribelli presero la città di Lagunas, nel 1839, che conobbe Garibaldi. È stato in quel momento che i due mondi si sono incontrati. Lasciato il marito, Anita si unì a Giuseppe. Combatterono l'uno affianco all'altra per dieci anni, tra il Brasile, l'Uruguay, la Francia e l'Italia. Ebbero quattro figli. Cinque, se la malaria non l'avesse presa a Mandriole.
Ma per quanto Anita fosse una leggenda, la sua fine appariva tutt'altro che eroica. Un cadavere abbandonato in mezzo alla sabbia, mezzo divorato dalle bestie, i segni della putrefazione ben visibili su tutto il corpo. Non è di certo la sepoltura che ci si aspetta per un'eroina. E infatti le dicerie iniziarono subito a circolare, a partire dall'autopsia, che suggeriva un'interpretazione molto più subdola degli avvenimenti, rispetto alla malattia.
“Fu osservato avere gli occhi sporgenti, e metà della lingua pure sporgente fra i denti, nonché la trachea rotta ed un segno circolare intorno al collo, segni non equivoci di sofferto strangolamento”.
Qualcuno aveva davvero strangolato Anita? E chi? Nel giro di pochi giorni circolarono decine di versioni dell'accaduto. Si mormorava che fosse stato lo stesso Garibaldi a strangolarla, per poter sveltire la fuga. Altri sostenevano che fossero stati i fratelli Ravaglia, che avevano ospitato Garibaldi e la moglie nella loro fattoria, per impossessarsi del presunto tesoro delle due Sicilie. Le dicerie si accanivano sui resti di Anita come le bestie che ne avevano deturpato il corpo.
Fu lo stesso medico che aveva eseguito l'autopsia a ribaltare il referto delle polizia. Non si trattava di strangolamento. I segni sul collo riscontrati dagli agenti non erano che un effetto della necrosi, che era stata più rapida dove il collo era meno riparato.
Fu Pietro Bonnet, patriota comacchiese, a ricostruire le ultime ore di Anita. Già febbricitante per la malaria, Anita aveva seguito Garibaldi e il Maggior Leggero nelle valli di Magna Vacca, dopo che le loro imbarcazioni erano state intercettate dagli Austriaci. Lì, con l'aiuto di Bonnet, i tre trovarono ospitalità prima a Villa Zanetto, poi dai fratelli Ravaglia, nella tenuta Guiccioli, a Mandriole. Fu lì che Anita morì, la notte del 4 agosto 1849. Garibaldi era fuori di sé dal dolore. Dei suoi due mondi, uno era perduto per sempre. Cercò di far trasferire la salma a Ravenna, ma non era possibile: gli austriaci erano alle porte, non poteva fermarsi. Così nascosero il corpo nella sabbia, mentre Garibaldi si allontanava nella notte piena di stelle della palude.
Una leggenda vuole che alcuni contadini videro un grande carro di fuoco librarsi nel cielo. Dissero che era lo spirito di Anita che cavalcava verso il firmamento. Nessuno può dirlo con certezza, ma sarebbe un bel finale, per una storia così triste.
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Pubblicato nel marzo del 2015
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