Chiavica di Legno - AnitaIL PORTO SEPOLTO



Tra la Valle Humana e la Valla Menata c'era un porto che si affacciava su una palude che non c'è più. Il Porto di Menate, con la sua osteria, la farmacia, la scuola e la sua bottega. Una piccola comunità fluviale che nel corso dei secoli si è convertita all'attività contadina senza perdere la sua natura valliva. In questo racconto viaggiamo tra i pantani del tempo e le storie dei fiocinini, i pescatori di anguille, fino al giorno in cui, per un momento, l'acqua non tornò a riprendersi ciò che era suo.


“Il 22 giugno si faceva la festa del patrono, che era San Giuliano. Questa è la leggenda che mi diceva mia mamma: San Giuliano era un istriano, veniva in barca dalle valli di Comacchio e si incontrò con San Cassiano, cha anche lui veniva in barca e voleva venire a Longastrino. A un certo punto si scontrarono, e si presero non a remi, perché avevano e paradèl, si presero a paradellate. San Cassiano ebbe la peggio e ripiegò a Comacchio. San Giuliano dopo, quando sbarcò, attraversò la via Viola e arrivò in paese”.
È così che Dante Leoni, nelle memorie dei longastrinesi raccolte da Fabio Negrini, ricorda la leggenda che lega il santo patrono Giuliano a Longastrino. È significativo che, in un paese che ora si trova al centro di una sterminata pianura agricola, le credenze popolari tramandino l'immagine di un santo che arriva in barca, usando il paradèl, cioè quel lungo bastone biforcuto che si utilizzava per sospingere le imbarcazioni nelle acque non troppo profonde.
Sì, perché Longastrino sorge proprio lungo le strine cioè sopra le strisce di terra che emergevano dalla palude, nei pressi del vecchio Po di Primaro. Ora il Reno scorre qualche chilometro più a sud, ma la disposizione del paese, allungato attorno a due lunghe strade che ricalcano gli antichi argini, ricorda ancora il legame con il fiume.
Fino agli anni trenta del Novecento quelli che oggi sono campi erano sommersi dalle acque, in un panorama del tutto simile a quello delle valli di Comacchio. Tra la valle Umana e la valle Menata, proprio a Longastrino, sorgeva il porto di Menate che fu per lungo tempo un punto di riferimento e uno snodo centrale per il commercio di questa regione.
A Menate c'era la farmacia, la bottega, la scuola: una vera e propria comunità fluviale che viveva a stretto contatto con la valle, in bilico tra la barca e l'aratro.
Mentre i lavori della bonifica avanzavano e molti vallaroli del posto erano impiegati nelle cooperative che stavano contribuendo al prosciugamento della pianura, qui si viveva ancora molto di caccia e, soprattutto, di pesca.
Si pescava nelle valli e nei canali, in barca, ma anche restando sulla riva o addirittura immergendosi nell'acqua salmastra. Cefali, carpe, tinche, pescegatti, talvolta anche lucci, e soprattutto anguille.
Chi l'aveva, andava a pesca con la fiocina, di giorno, quando l'anguilla si infratta tra le alghe. Dove c'era un ciuffo d'erba si sferrava il colpo di fiocina. Quando il colpo andava a segno, si faceva passare un ago e uno spago attraverso la testa del pesce, e così si continuava la pesca trascinandosi dietro le anguille già pescate.
Oltre alla fiocina, esistevano diversi modi per andare a pesca: con la canna o con la rete, piazzando delle trappole lungo le rive dei canali, oppure con il rivale, una rete zavorrata che veniva trascinata, rimanendo sulla riva. Prima di calarla nel canale però, bisognava ripulire il fondale con delle falci, per evitare che canne e erbe palustri la rompessero.
I pescatori e i cosiddetti fiocinini di Menate però, erano tecnicamente dei fuori legge. Infatti, il Comune di Comacchio deteneva il diritto esclusivo di sfruttamento sulle valli, e aveva posizionato lungo tutto il perimetro molte postazioni fisse di controllo. Le guardie comacchiesi vivevano in questi casotti in cinque o sei, per qualche mese. Di giorno sorvegliavano le valli e di notte perlustravano canali e fossi per scovare le reti abusive. Utilizzavano agili barchette a cui avevano appeso dei rampini, così da agganciare e strappare le reti eventualmente piazzate dai pescatori di frodo.
Questo non impediva ai vallaroli di Longastrino di avventurarsi comunque nelle valli, con il favore delle tenebre, pronti a sfidare le guardie comacchiesi… oppure a corromperle, regalando del formaggio o qualche uovo. Alla fine, non era raro che le guardie diventassero persino amiche delle famiglie che vivevano nei pressi dei casotti.
A volte capitava poi che alcuni fossi si riempissero di pesci a dismisura. Alcuni racconti parlano di canali che ribollivano letteralmente per la gran quantità di pesce presente.
Infatti, man mano che la bonifica giungeva a termine, e la regolazione delle acque cominciava a funzionare in maniera efficiente, succedeva sempre più spesso che i pesci, non potendosi muovere liberamente, rimanessero “intrappolati” in qualche cassa o in qualche canale d'irrigazione.
In questi casi era molto comune andare a pescare a manazza, cioè a mani nude. Svestiti e immersi nell'acqua, anche in autunno e in inverno, si catturavano i pesci con rapidi gesti esperti, incuranti dei morsi degli insetti, delle ferite che le canne palustri spezzate provocavano ai piedi, e del freddo del fosso.
Ogni pesce andava afferrato secondo tecniche diverse, e alcuni potevano essere anche pericolosi, come ad esempio il luccio, dotato di grande forza e di affilati denti, oppure il pescegatto che, appena si sente in pericolo, erige i suoi tre sproni pungenti e dotati di un veleno che, per quanto non fatale, provoca molto dolore.
Eppure, nonostante i pericoli e le condizioni rigide della pesca a manazza, chi ancora ricorda quegli anni racconta che questa era un'attività a cui anche i bambini si dedicavano frequentemente.
Certo, questa vita di valle, qui nell'aperta campagna a nord del vecchio Primaro, è solo questo, un ricordo che lentamente sbiadisce. Pescatori e barcaioli si sono trasformati col tempo in contadini, e del porto di Menate non rimane nulla, se non il nome. Ma con un po' di fantasia, stando in piedi sull'argine, possiamo ancora immaginare una barchetta che si aggira di notte, con il fanale puntato sull'acqua e la punta della fiocina che luccica per un istante, prima di essere scagliata. Un'altra delle innumerevoli facce perdute che questa terra ha avuto nel corso dei secoli.
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Pubblicato nel marzo del 2015
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