Boccaleone - ArgentaLa stretta di Argenta



In questo secondo racconto dedicato all' Argenta GAP sentiremo le storie dei Partigiani che hanno contribuito alla Liberazione, attraverso la testimonianza di Antonio delle Vacche, detto Dino, che ha ricostruito la tragica fine della squadra partigiana comandata da Ruggero Mazzini.


“Ad Anita, al termine della strada Rotta Martinella, a metà della rampa che porta alla sommità dell'argine sinistro del fiume Reno, si trova un cippo, eretto in memoria di un gruppo di partigiani caduti nella guerra di Liberazione. Di quel gruppo, sterminato dai tedeschi nei primi giorni del 1945, sopravvissero soltanto due componenti: un russo, Nikolaj, unitosi alla squadra dopo essersi sottratto al servizio coatto presso i tedeschi; e io, che avevo raggiunto i partigiani dopo l'8 settembre: all'epoca dei fatti non avevo ancora vent'anni”.
Antonio delle Vacche, detto Dino, era un giovane partigiano che faceva parte della 35° Brigata “Bruno Rizzieri” di Ferrara, la cui squadra d'Argenta era comandata da Ruggero Mazzini. Vi ricorda qualcosa questo nome? Sì, esatto, è la stessa squadra di partigiani che aveva aiutato il pilota sudafricano Bob Bell a superare le linee nemiche. Ma cosa era successo alla squadra, dopo che si erano divisi? Per scoprirlo dobbiamo seguire la storia di Dino e dei suoi giorni nella Resistenza.
Dino e gli altri partigiani avevano passato gran parte del 1944 nascosti nelle paludi di Campotto, in una continua guerriglia contro i tedeschi. Ma nel novembre di quell'anno Radio Londra trasmise il “bando” del generale Alexander, comandante delle Armate Alleate in Italia: le forze partigiane venivano invitate a smobilitare, nascondere le armi e ritornare a casa fino alla primavera, quando gli eserciti alleati avrebbero ripreso l'avanzata. A ciò si aggiunse il decreto della prefettura di Ferrara, che ordinava lo sfollamento di tutti i civili dalla zona di Argenta. Questo era un duro colpo per la Resistenza: un altro inverno nella macchia, con scarse possibilità di approvvigionamento, diventando così facili bersagli per i nazi-fascisti.
Dino si rifugiò a Madonna del Bosco, presso Anita, per unirsi alla Colonna Wladimiro. È qui che conobbe Ruggero Mazzini ed entrò della sua squadra.
La compagnia rimase ferma al di là del fiume per qualche giorno, finché, la notte del 2 dicembre accade qualcosa di inatteso: era scattato il “Piano Bulow”.
Il grosso della colonna Wladimiro liberò Sant'Alberto e puntò verso Savarna, mentre Bulow, all'anagrafe Arrigo Boldrini, il partigiano ideatore del piano, liberava Ravenna, Porto Corsini, Casalborsetti e Mandriole.
In quei giorni la squadra di Dino liberò Rotta Martinella, Anita e Madonna del Bosco. Il piano sembrava procedere bene, bisognava aspettare solo l'arrivo delle truppe alleate. Ma queste non arrivarono. Erano rimaste bloccate a sud del Senio.
Ruggero, Dino e gli altri si rifugiarono nel cinema di Sant'Alberto per passare la notte. Attendevano nuove sparsi sulle poltroncine rosse, davanti allo schermo su cui non si materializzava più nessun immagine, se non l'ansia di quello che stava per accadere. Alcuni colpi di mortaio. Ma non erano effetti speciali: i tedeschi erano tornati a Sant'Alberto in forze e questo significava solo una cosa: fuggire.
Tempesta, gelo, colpi di granata che dilaniavano il cielo e raffiche continue di mitragliatrice. Ruggero, e i suoi, tra cui Dino, rimasero isolati dagli altri partigiani. Poi finalmente la calma. La luna che illuminava la valle e il firmamento tornato limpido. L'alba si stava avvicinando.
E all'alba la compagnia raggiunse le Tre Motte, in Valle Vacca. Era un rifugio partigiano usato da molto tempo, più simile ad una trincea che ad una base: tre ampie buche scavate su un dosso, immerso nell'acqua, alla mercé degli elementi.
Una mattina una staffetta portò disposizioni da terra: bisognava abbandonare la Compagnia e ricercare soluzioni personali. Fu così che Ruggero Mazzini, rimasto a capo di una ventina di partigiani, tra cui Dino, Nicolaj e gli altri russi e i quattro cecoslovacchi, decise di spostarsi nella Bonifica del Mantello, in una casa allagata che emergeva dalla palude. Vi ricorda qualcosa? Esatto, è la stessa dove il pilota Bob trovò riparo durante quell'inverno.
Per quanto disperata fosse la situazione, la casa allagata si animò di una strana allegria. C'erano un centinaio di galline, e l'amatissima mucca che forniva latte a tutti, e Spada il cuoco provvedeva a sfamare la compagnia. Nella palude della guerra, era emersa una piccola isola di umanità.
Un giorno, verso sera, Apollinare Mercatelli, un parente di Dino, apparve con la sua barca vicino al rifugio. Ad Anita non c'era traccia di fascisti o tedeschi, poteva venire a ripararsi per qualche giorno, se lo desiderava. Dino era molto combattuto: tornare sulla terraferma o restare con la compagnia? Fu Ruggero a decidere per lui. E così il giovane Dino tornò ad Anita. Riuscì anche a rivedere sua madre, dopo molti mesi di separazione.
La sua pace durò solo pochi giorni però. Dino venne a sapere che il fronte si stava spostando. Gli alleati avevano ripreso ad avanzare e Bulow e gli altri partigiani si preparavano a liberare la costa nord. Grazie all'aiuto di alcune staffette, Dino riuscì ad avvisare Ruggero e gli altri della Compagnia, e diede loro appuntamento alle Tre Motte.
Dino raggiunse le buche, insieme ad alcuni nuovi compagni toscani, e si misero ad aspettare il ritorno dei loro amici. Il vento fischiava e la l'acqua si increspava per il gelo. Ma di Ruggero e della Compagnia nessuna traccia. La notte passa, la fame aumenta. Attorno a loro solo la desolazione della valle, con qualche folaga che starnazza innocua a pelo d'acqua. Deve essere successo qualcosa.
Alle 10 una grossa barca appare nella nebbia, ma a bordo non c i sono Ruggero e gli altri. Sono uomini di Sant'Alberto, sfuggiti ai tedeschi, e portano brutte notizie: la sera prima, alcuni partigiani, che si erano rifugiati in una casa allagata, avevano cercato di attraversare la palude, ma le barche si erano ribaltate durante la bufera. Nessuno sapeva che fine avesse fatto la Compagnia di Ruggero. Aspettarli era inutile ormai.
Dopo una serie di peripezie, tra fughe in barca e ripari di fortuna, Dino e i toscani riuscirono a raggiungere la riva sinistra del Reno. Uno di loro improvvisò una bandiera bianca e la sventolò dall'argine. Un comandante canadese li raggiunse e li condusse a sud del fiume in territorio libero. Era l'8 gennaio 1945 e per Dino l'incubo della fuga stava per finire. Ma un pensiero lo tormentava: che cos'era successo ai suoi amici?
Fu Nikolaj il russo, a raccontare cosa successe a Ruggero e ai suoi uomini: dopo la tempesta, dopo la morte di Julio durante la traversata della valle ghiacciata e dopo l'esplosione della mina che aveva ucciso il piccolo Vincenzo, la squadra aveva raggiunto la linea del fronte vicino al Reno. E mentre Nikolaj, gli altri russi e Bob presero la via lunga, Ruggero e i suoi compagni cercarono di deviare più avanti, guadagnando terreno. Era notte. Il buio li avrebbe celati alle pattuglie tedesche che si aggiravano sull'argine. Ma fu il ghiaccio sotto i loro piedi a tradirli: a causa degli scricchiolii, un mitragliere tedesco appostato sull'argine individuò la loro posizione e aprì il fuoco.
Fu una carneficina. I loro cadaveri rimasero a lungo dove erano caduti. Lì dove, come ricorda Dino, sorge ora un cippo, per fare memoria del loro coraggio e del loro sacrificio. Solo dopo la liberazione di Argenta, quella liberazione per cui avevano dato la vita, i loro corpi furono recuperati e avviati ad una dignitosa sepoltura.
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Pubblicato nel marzo del 2015
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