Ospital Monacale - TraghettoIl fiume che non c'é 



Se cercate su Google Maps Po di Primaro, il motore di ricerca vi indicherà un altro fiume: il fiume Reno. Questo perché tutta la zona è stata interessata da un'incessante opera di bonifica, iniziata sin dal Medioevo e che ha conosciuto il suo culmine durante la Bonifica Renana, agli inizi del '900. In questo racconto, ascolteremo le storie dei pionieri e degli scariolanti, degli uomini e delle donne che hanno strappato questa terra alle paludi, e scopriremo perché sul letto del Primaro scorre oggi il fiume Reno.


“Magnetica uguaglianza, intonazione perpetua al grigio, dominio di poesia maligna e penetrante, che richiama e seduce il solitario cacciatore. Ogni tanto un uccello si appunta nella vastità uniforme degli orizzonti; e s'ode allora un colpo secco di schioppo, che dilata la risonanza di valle in valle. Invano tu cerchi di là dai cespugli, per i tramezzi e le arginature, o in mezzo alle lontane sfilate dei pioppi la piccola ombra dello sparatore. L'uomo è meno di un'ombra in queste plaghe che paiono evocare alla fantasia le calme seguite al Diluvio. Eppure, fra qualche anno, anche [questi] stagni saranno vinti dalla tenacia secolare dell'uomo, che sul terreno redento riquadrerà le sue colture arborate. Le valli dispariranno”.
Quando scrive queste righe, nel 1926, lo studioso argentano Giuseppe Galassi sa bene di cosa sta parlando. La grande Bonifica Renana è iniziata e le paludi, dopo secoli di lotte, stanno cedendo il passo.
Fino all'inizio del 1900 le terre che abbracciano il Po morto di Primaro, rimasero in preda alla selvaggia natura della acque. Furono molti i tentativi di dominare le paludi salmastre e malariche che arrivavano fino a qui dalle valli di Comacchio e i turbolenti fiumi che scendevano dall'Appennino. Nel '700 era stato costruito il Cavo Benedettino, un grande canale che portava il fiume Reno a immettersi nel vecchio letto del Primaro, proprio qui, a Traghetto. Il fiume morto ritrovò così la vita e da allora, per due secoli, fu il centro di un continuo mutamento. Nei decenni successivi il fiume venne poi “drizzato”, da Argenta fino ad Anita, eliminando le anse che lo facevano passare per Filo e Longastrino. Furono costruiti argini, chiuse e casse di espansione, i corsi d'acqua a sud del Reno furono anch'essi incanalati uno ad uno nel vecchio Primaro e un'instancabile opera di bonifica vide sorgere anche numerosi piccoli centri abitati in una terra che lentamente diventava coltivabile.
In questa pianura dove la pendenza è minima però, tutte queste modificazioni artificiali non fecero altro che portare un grande sconvolgimento, senza riuscire a imbrigliare le acque e a prosciugare la terra. I letti dei fiumi si riempivano di detriti e si alzavano, gli argini crollavano e le acque spagliavano disordinatamente. Le valli non furono mai conquistate.
Ma la rivoluzione industriale arrivò anche qui e con i suoi macchinari più all'avanguardia chiamò alla resa dei conti finale la palude selvaggia e ostile.
Nel 1909 fu costituito il Consorzio della Bonifica Renana e si impose il concetto di bonifica integrale, cioè di una sistemazione idraulica, di un risanamento igienico e di una trasformazione agraria e sociale del territorio. L'obiettivo era insomma sconfiggere per sempre la palude e le malattie che portava, come la malaria e la pellagra, e trasformare l'intero territorio in una grande piana destinata alla coltivazione.
Negli anni seguenti i vallaroli si trovarono davanti a uno spettacolo mai visto. Chilometri e chilometri di binari furono posati a comporre la ragnatela della ferrovia consorziale. Un vero e proprio intrico di linee elettriche e telefoniche conquistò la pianura dove spesso la lampadina non era ancora arrivata. Uno scenario avveniristico dove fecero la loro comparsa i giganti della tecnologia idraulica: escavatori, draghe e battipali elettrici e a vapore. Macchinari capaci di smuovere quantità di terra fino ad allora inimmaginabili. I letti dei fiumi furono scavati e i detriti rimossi andarono a costituire i nuovi e possenti argini. I fiumi furono incanalati, ed ettaro dopo ettaro la terra fu strappata alle acque e resa coltivabile.
I veri protagonisti di questa grande impresa non furono però le macchine. Molti uomini e donne dei paesi della pianura furono coinvolti in cooperative e prestarono le loro braccia alla bonifica. La richiesta di manodopera era tale che durante la Prima Guerra Mondiale anche alcuni prigionieri austriaci furono impiegati nella bonifica, nella zona di Campotto, oltre il fiume.
In molti casi infatti era ancora necessario l'incessante e faticoso sforzo degli uomini, che armati di pala e carriola preparavano la strada agli escavatori. La fama degli scariolanti si diffuse a tal punto che nel primo dopoguerra molti di loro furono chiamati in altre zone paludose d'Italia, come l'Agro Pontino, per portare avanti altre opere di bonifica.
Una curiosa vicenda di questa grande rivoluzione della pianura è quella di Oàsi Alessandrini, una donna eccentrica ed esemplare, di cui purtroppo non è stato tramandato molto. Dalle foto che sono rimaste di lei, scopriamo che si vestiva sempre da uomo, spesso con abiti militari. Forse era questo l'unico modo per affermarsi come scienziata e tecnica, in un mondo ancora fortemente maschile. Originaria di Molinella, appena al di là del Reno, Oàsi era una grande conoscitrice delle nuove tecnologie. Fu lei a portare l'elettricità nel suo paese natio e in tanti altri centri abitati della palude che piano piano diventava pianura, e sembra sia stata proprio lei a organizzare alcune delle prime proiezioni cinematografiche a Molinella.
La Bonifica durò per decenni. E lentamente il paesaggio fu radicalmente trasformato. Apparirono i campi, sterminati e piatti che si stendono anche oggi fino a perdersi nella foschia. Si delineò la fitta rete di fossi e canali di irrigazione che vediamo oggi, regolati da chiuse e idrovore che potevano sopportare ogni piena. E sorsero gli alti argini che tagliano anche il panorama odierno. Quegli stessi argini su cui il nostro sentiero sale, poco fuori dall'abitato di Traghetto, proprio dove il Reno si getta nell'antico letto del Primaro.
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Pubblicato nel marzo del 2015
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