Argenta in tavolaalla riscoperta dei sapori locali
L'Argentano, nella sua gastronomia, non è una cosa unica, ma sfumatura e diversità.Ritroviamo l'influsso dell'Emilia ducale nell'alto argentano laddove il frutteto, che negli ultimi decenni sembrava soccombere, con la pesca e la pera eleva il sapore ad eccellenza, insieme alla salamina, ai cappellacci di zucca e alle sagre della patata e del maiale.
Estense è anche la Romagna del basso argentano che, con l'antica riviera di San Biagio, Filo e Longastrino e Anita sorta in Valle Humana, poi bonificata, rappresenta l'estensione della Signoria, in lagune all'origine ravennati ed esarcali. Il cappelletto si fa con il battuto di carne, ma è conosciuto anche quello romagnolo con forma e spezie, sempre in brodo di cappone e/o di gallina e carni miste (manzo e maiale); ai ferri il castrato, la salsiccia e parti del maiale; ricordiamo l'anguilla e le specialità vallanti.
Santa Maria Codifiume, Traghetto risentono di Bologna la grassa con accenti seduttivi; ai Cortili sono note le profumate carni e la pasta dai soffritti prelibati.
Campotto tra bolognese e ravennate richiama influssi misti abbinati alla tradizione vallarola: la pasta ripiena alle erbe spontanee come ortica/urtiga, rucola/ròcla, tarassaco/castracân, strigoli/strigul, asparago/spérs; i preparati con frutti del bosco (more di rovo/râza e di gelso/môr, rosa canina/pinzincúl, biancospino/spègnbianc, prugnolo/prugnò); il pesce di acqua dolce (pesce gatto, buratèl/anguilla, luccio, carpa..), le rane/ranòcc; ed infine il selvatico addomesticato fanno il paniere gastronomico a cui la ristorazione si è dedicata e la consuetudine locale è affezionata.
Nel Mezzano, area ad alto valore di biodiversità che giunge fino a Bando, troviamo le produzioni cerealicole, il pomodoro, uve e vini delle Sabbie e del Bosco Eliceo e altre varietà, dalla comprovata artigianalità degli agricoltori.
Le abitudini culinarie tuttavia sono trasversali, memori di quando l'acqua e le valli lambivano gli abitati a fianco di un'economia contadina in un territorio di confini, dialetti, le cui ricette citate assumevano varianti locali.
Chi non faceva gli insaccati in casa e non conservava il salame sotto la cenere; quale aždòra (reggitrice) non preparava la minestra di fagioli coi šguazabèrba (maltagliati), il brodo coi manafènt (manfrigoli) o i passatelli.
Chi oggi non reclama i grôstul (sfrappole) a carnevale, il pinzino (il gnocco fritto) da noi tondo, che ad ogni sagra si mangia passeggiando tra attrazioni e bancarelle. Chi in casa propria non assapora la zuppa inglese, la torta tagliolina all'Alchermes, le tagliatelle all'insuperabile ragù della nonna.
E ricordiamo la piadina, piadèina, piè, piada che troviamo al ristorante, in famiglia e come street food o, meglio, tradizionale preparazione ai chioschi delle strade.